Un intervento profondo, che ci conduce verso un’altra prospettiva: Christian Mancini, con la collaborazione di Raffaella Cataldo.
_____
Desidero iniziare questo articolo con una buona notizia, una “positizia” che mi auguro di condividere con più persone possibili. Sempre più pensatori, autori, ricercatori, esploratori di mondi interiori e molti altri riconoscono e promuovono attivamente le parole senziente, biofilico, (eco) sistemico, olistico ed ecologico. Tutte queste parole, in occidente, hanno fatto grande fatica ad emergere essendo state sepolte per lungo tempo sotto strati e strati di supremazia tecnologica, ideali di efficienza e produttività, sviluppatisi all’inizio dell’era industriale e profondamente presenti sino ad oggi, nell’era digitale della competizione. Per più di trecento anni, nelle società occidentali l’ideale logico lineare ha prevalso sulle conoscenze primitive, la saggezza dell’istinto e della natura selvatica.
L’intelligenza primitiva è la sapienza che risiede nel selvatico, ossia quell’istinto di pancia, all’interno del tempio sacro del nostro corpo, che ci ha permesso, in oltre 300 mila anni di evoluzione, di osservare, ascoltare ed imparare a contatto con la terra e con le nostre radici, consentendoci così di sopravvivere e progredire. Questa Intelligenza selvatica genera uno stile di vita nel quale è possibile sentire e rispettare la connessione con tutti gli esseri viventi e con gli elementi della vita (aria, acqua, fuoco, terra, anima, spirito, corpo, mente, emozioni). Questo è lo stile di vita in cui le popolazioni delle società tradizionali più legate ai ritmi naturali, hanno saputo integrare scelte individuali e costruzioni sociali.
Ci sono molti pensatori moderni come Alexander von Humboldt, Rudolf Steiner, William Lovelock che erano profondamente convinti della connessione interiore di tutti gli esseri viventi. Simili correnti di pensiero sono apparse nelle scienze naturali all’inizio del XX secolo ad esempio con i lavori di Arne Naess, Edward Wilson, Stephen Kellert e Joanna Macy, alla quale si ispira in particolare questo articolo. Tutti quanti sono importanti rappresentanti dell’ecologia profonda, dell’ipotesi della biofilia e della teoria dei sistemi.
La connessione interna di tutti i fenomeni è stata (ri)scoperta e questo ha cambiato il modo in cui molte persone percepiscono e pensano il mondo. Nel libro Il Tao della fisica, il fisico Fritjof Capra spiega perché la precedente visione scientifica del mondo deve essere messa radicalmente in discussione. Capra descrive la visione della realtà basandosi sulla consapevolezza che tutti i fenomeni – fisici, biologici, psicologici, sociali e culturali – sono fondamentalmente connessi e dipendenti l’uno dall’altro.
La visione scientifica del mondo che ha dominato e domina la nostra cultura occidentale, la nostra educazione e il nostro sistema scolastico sono definiti “cartesiani-newtoniani” e “meccanicistici”. Questa visione cartesiana dell’universo si basa su un rigido concetto di verità giusta e sbagliata ed è caratterizzata dalla distinzione oggetto e soggetto, tra spirito e materia, insomma una visione del mondo che spiega sia la natura selvatica sia la natura dell’uomo in analogia al modello di una macchina. Questo approccio di pensiero culmina nella convinzione che tutti i fenomeni possano essere spiegati e compresi se si è in grado di separarli e ridurli nelle loro più piccole parti. La sopravvalutazione di questo modello di pensiero ha portato frammentazione e separazione nella vita, come si evince analizzando i termini della cosiddetta pedagogia nera. Alla luce di una situazione di crisi multidimensionale, ecologica, climatica, pedagogica, psicologica, spirituale, penso sia importante chiederci perché mai i molteplici segnali di allarme non vengano presi sul serio, come sia possibile che le notizie inquietanti sull’imminente distruzione del nostro pianeta e della nostra vita non vengano colti immediatamente e con urgenza. Quali sono le cause dell’apatia generale?
Qui è arrivato il momento di un’altra “positizia”: il continuo sviluppo del pensiero cartesiano-newtoniano si è rivelato troppo limitato per l’esplorazione del mondo, della vita e si sono formate teorie e approcci nuovi, quali l’Ecologia profonda, la Fisica quantistica, l’Ecopsicologia, il settore dell’Adventure e Nature based Therapy, l’economia circolare e molto altro, che ci hanno portato verso una comprensione olistica del mondo producendo una visione che può essere definita organica, olistica ed ecologica. Non più quindi l’immagine di una macchina, composta da molte singole parti, come modello esplicativo del mondo e dell’universo, ma piuttosto l’immagine di un organismo vivente.
Anche a scuola, ad esempio, non si parla più di didattica disciplinare, interdisciplinare o simile, ma si stanno sviluppando termini come la didattica per competenze, un piccolo passo verso una concezione più ampia dell’apprendimento.
Abbiamo solo recentemente riconosciuto l’esistenza di gigantesche reti di vegetali, funghi e batteri chiamate www “wood wide web”, le cui parti sono inseparabilmente intrecciate. Potremmo aver forse compreso o almeno aver sviluppato una percezione più sottile dell’inseparabilità di ogni entità, ovvero che non esiste un confine tra “il dentro, il fuori e i dintorni”. E’ probabile che dopo l’anno 2020, che ha letteralmente frantumato tutte le certezze, prevedibilità, e il controllo, in molti abbiamo sentito parlare dell’effetto farfalla e del potere dei pensieri che generano la realtà. Piccoli gesti con un grande effetto sono possibili, ma solo se essi si compiono attraverso una grande rete di interdipendenza.
Volgendo lo sguardo all’universo della pedagogia, osservo che da un lato stiamo in gran parte applicando ancora dinamiche per parcellizzare, patologizzare, dove cerchiamo la cura dei sintomi invece della prevenzione del processo che ci fa ammalare. Sembra che sui social troviamo per ogni particolare necessità che reputiamo potenzialmente dannosa, pericolosa, non ottimizzata verso la prosperità della società consumistica, una particolare metodologia pedagogica correttiva, un brevetto, la creazione di una metodologia ricoperta da marchio e bandiera di provenienza. La semplificazione dell’immensa complessità della vita sociale, delle sue dinamiche e dei suoi intrecci porta a pensare che aderire a una specifica proposta educativa possa essere la soluzione e la guarigione. Ma chi deve guarire?
D’altra parte, si leggono svariate proposte educative che si ispirano a una visione nuova, come la neuroeducazione, l’educazione emozionale, l’educazione parentale, l’educazione all’aperto, l’educazione in Natura, l’educazione libertaria, la pedagogia verde, la pedagogia ludica, la pedagogia sistemica, la pedagogia del bosco e del mare, l’educazione gentile, la nuova pedagogia, la pedagogia viva, l’homeschooling, l’unschooling e molte altre direzioni ancora. Ma quale scegliere? Io so solo che non si può trovare un confine tra la testa, il cuore, la mano, lo spirito e l’anima e nemmeno si trova un confine tra una persona e un’altra o tra gli esseri viventi e gli ambienti che essi abitano. Se è così, allora forse non esiste nemmeno un vero confine fra questi approcci pedagogici, ma forse solo una linea d’incontro tra sistemi. Forse stiamo di fondo lavorando tutti quanti nella stessa direzione, scegliendo semplicemente strade divergenti e diverse che proseguono verso una meta identica. Perché dunque non farci portavoce l’uno dell’altro e così imitare la rete della vita? Unendo gli sguardi sulla gratitudine dell’esistenza dell’altro e sull’apprezzamento di tutte le energie messe nel sistema da ciascun progetto?
Purtroppo avverto, anche nella mia personale esperienza, che vige la tendenza che chi non è abbastanza grande (too big to fail) rischia di diventare vittima di una “Cancel Culture”, una cultura del silenzio e della non citazione, della non promozione, della paura di essere superati, giudicati e infine dimenticati. Eppure la vita non dimentica, la vita non perde mai, la vita fluisce, scorre, si decompone e ricompone in un battito di cuore.
Nello sviluppo dei progetti di educazione in Natura fondati e gestiti in gran parte da privati, nasce da qualche anno la necessità di formazione e accompagnamento. Ma a che fine facciamo una formazione? Vogliamo tutti fare formazione per offrire formazione? A quale fine vogliamo passare le esperienze? Per migliorare nel profondo un sistema debole, malato e contro la vita o per inseguire un bisogno di autoaffermazione, di stato e rango sociale? Parto dalla premessa che riconoscere il bisogno di crescere e imparare per una vita intera è un passo importante verso la consapevolezza della complessità della vita. Nel passato che abbiamo vissuto si radica l’autentico bisogno di guarigione e terapia individuale, ovviamente parlo per me in prima persona e mi chiedo in quanti potrebbero aderire a questa mia affermazione.
Mi auguro che arriverà il momento in cui potremo parlare apertamente della relazione di cura in cui ognuno di noi, anche il formatore supremo, per così dire, scopre il grande valore di permettersi di sentire e comunicare la più profonda sofferenza, dolore e rimpianto per tutto ciò che si radica ancora nello sfruttamento delle risorse e degli esseri senzienti, così come il dolore di un’infanzia e un’adolescenza nelle quali tutto è stato dettato da una morale rigida e da valori esterni imposti, sviluppando un locus of control esterno che ci ha squilibrato dal nostro centro di sapienza interiore.
La mia pancia mi dice che il grande aumento di progetti educativi a contatto con la natura può essere interpretato come un grande bisogno di guarigione a livello di massa da parte degli adulti che hanno scelto di accompagnare i cuccioli umani nella loro crescita. In molti adulti siamo reduci dai valori dell’era cartesiana e newtoniana dove il patriarcato, il potere, la forza,il rango alto, l’insensibilità, la voglia di vincere, l’eroe, la fatica, la sofferenza e il sacrificio come cosiddetti valori maschili, hanno generato malattia, oppressione, chiusura e separazione, tanto che oggi si respira da ogni poro del mondo il bisogno di un cambiamento.
Questo sentimento di cambiamento penso sia il presupposto per comprendere la nostra situazione di crisi profonda, ma anche per cambiare radicalmente le nostre percezioni e i nostri valori.
Sinergia: un nuovo concetto di potenza e perché mantenere la competizione tra professionisti non aiuterà nessuno
Il vecchio concetto di potere si basa sulla visione meccanicistica del mondo. Atomi, piante, animali ed esseri umani sono percepiti come unità separate e quindi reali, mentre le relazioni e le interazioni tra le unità, essendo meno precisamente misurabili, svolgono un ruolo subordinato. Il potere è quindi l’impatto di un’entità esistente separatamente, su un’altra. In altre parole la vecchia idea di potere si basa su dominanza e forza. Potente e di successo sembra una persona che accumula beni materiali, che vende il suo prodotto in numeri giganteschi, che compra la casa e la salute per poi isolarsi nei propri spazi protetti e sicuri da quegli altri che non ce l’hanno fatta. La conseguenza è un pensiero di Win-Lose (vittoria e perdita), cioè la forza e il potere di una persona significano la debolezza e l’impotenza dell’altra. Questo è il meccanismo sul quale abbiamo costruito il mondo che conosciamo, un mondo guidato ai vertici dai potenti, imparati e detenenti le possibilità verso l’impotente, non educato, bisognoso di essere guidato e riempito di buona educazione. La vecchia concezione del potere sostiene e promuove la rivalità e la competizione tra le persone e forse anche tra le proposte educative sopra citate: ognuno si sforza di prendere le distanze dall’influenza dell’altro, o accondiscende alla collaborazione superficiale per attaccarsi alla coda della visibilità e promozione, con dentro la paura continua di essere ferito, sconfitto o distrutto.
Il pensiero ecologico olistico cambia radicalmente questa visione del mondo. L’accento non è più posto sulle unità che esistono separatamente, ma sulla connessione, appunto secondo una teoria dei sistemi. Gli scienziati hanno scoperto quanto sia importante lo scambio aperto di informazioni per il funzionamento dei sistemi. Solo attraverso quest’apertura i sistemi mantengono se stessi e sviluppano la loro complessità e reattività. Gli esseri viventi si sviluppano attraverso l’interazione, l’apertura al mondo che li circonda e la capacità di dare e ricevere feedback vitali. Queste intuizioni sono importanti anche per la società umana e dal mio punto di vista, per quanto mi riguarda, anche nel settore educativo. Attualmente si osserva una tendenza sociale a sopprimere la situazione di crisi, il che mette in pericolo l’ampio flusso di informazioni, e di certo ognuno dei soggetti coinvolti si giustificherebbe affermando che sta semplicemente e legittimamente tirando l’acqua al proprio mulino. Alla base di questo atteggiamento però c’è una banalizzazione, negazione o rimozione delle nostre paure più profonde. Questo può essere riconosciuto anche nell’aumento dei disturbi nel rapporto con noi stessi e con i nostri simili. Attraverso vari meccanismi inconsapevoli di repressione da una parte e trattenendo consapevolmente le informazioni dall’altra, interrompiamo il flusso di informazioni. Il risultato è che i nostri poteri di resilienza sono paralizzati, il cambiamento di coscienza e di comportamento, di cui abbiamo urgente bisogno, viene impedito e l’intero sistema continua a perdere l’equilibrio.
Alla luce del modo di pensare sistemico, potremmo sviluppare una nuova comprensione del potere e della forza, che riguarda l’apertura, la vulnerabilità e la volontà di cambiare. La parola chiave è “potere comune”: non più l’uno contro l’altro, ma l’uno con l’altro, non la concorrenza, bensì la cooperazione: è questo il segreto attraverso il quale potremo sperimentare un aumento di coraggio, resilienza, impegno ed energia. Questo nuovo paradigma del potere e della forza diventa realtà quando prendiamo sul serio le nostre paure, le permettiamo e le affrontiamo dialogando, perché solo allora l’energia legata ad esse viene rilasciata.
Mi auguro profondamente di non trovarmi più in futuro nella situazione di sentirmi dire da professionisti e colleghi che “non possiamo collaborare, perché le nostre proposte sono troppo simili”: mi auguro invece di trovare alleati che si allineano prontamente al pensiero che c’è tanto da fare e che nessuno da solo potrà risolvere i problemi generati da centinaia di anni, alleati nella diffusione di una conoscenza che risiede nell’essenza della vita. Se noi professionisti dell’educazione, della pedagogia, delle metodologie attive, della scuola, dell’università, dei progetti innovativi, continuiamo ad agire ognuno “facendosi esclusivamente promotore della propria direzione educativa” stiamo continuando a portare avanti un modello del potere e di società che si basa sulla quantità di diverse scelte, proprio come fa un centro commerciale. Procedendo così, temo che risulterà difficile immaginare e raggiungere qualcosa di diverso da un mero orizzonte consumistico, dove qualcuno vince e qualcuno perde. Ci esorto tutti ad aiutarci reciprocamente, ad agire con coscienza sistemica, partendo dalla gratitudine di non essere soli, dalla capacità dell’incontro nel dialogo e nella comprensione dell’altro, nel vedere che non perderemo il lavoro, le iscrizioni, i followers, gli alleati e gli allievi se ci con-moltiplichiamo. C’è così tanto da fare che se proviamo a raggiungerci nei nostri intenti, nel seguire la vita, non possiamo mai perdere niente, ma solo crescere, trasformarci, arricchire, supportare davvero il Sistema Vivente.
Christian Mancini, con la collaborazione di Raffaella Cataldo
@Nature Rock – Apprendimento Esperienziale #Biofilia #EducatoriEsperienziali