È boom di esperienze educative gestite da genitori o educatori scelti dalle famiglie. I consigli degli esperti per chi vuole intraprendere questa strada.
È un fatto: crescono ormai in tante famiglie l’insofferenza e l’insoddisfazione nei confronti di un modello “convenzionale” di scuola e apprendimento ritenuto non più attuale, adeguato ed efficace. Negli ultimi tempi il segnale è divenuto assai chiaro e hanno iniziato a moltiplicarsi le iniziative autonome di gruppi di genitori che hanno deciso di costituire gruppi educativi o vere e proprie scuole parentali, provvedendo cioè direttamente o tramite educatori da loro selezionati all’educazione dei figli, al di fuori del sistema pubblico o paritario “ufficiale”. Tale fenomeno ha messo persino in allarme uffici territoriali e Ministero che però, finora, non sono andati molto oltre l’annuncio di severi controlli, reazione che non giova certamente all’esigenza espressa di una rinnovata fiducia nei confronti dell’istituzione scolastica. Sono nate, dunque, decine e decine di realtà in tutta Italia, soprattutto per la fascia 0-6 anni ma anche oltre, molte delle quali hanno scelto le modalità dell’educazione all’aperto e gli approcci pedagogici che non prevedono valutazioni stringenti, compiti a casa, vincoli particolari di tempo, curricula e attività. Ma è sempre semplice partire e, soprattutto, mantenere vive ed efficaci tali realtà? Cosa è bene sapere prima di iniziare e per entrare a regime?
Una progettazione meditata
«Prima di tutto, occorre considerare che quando ci si appresta a un’esperienza simile, non si può farlo con lo spirito di chi “ci prova e al massimo poi cambierà rotta”» spiega la pedagogista Cecilia Fazioli. «I bambini hanno bisogno di stabilità, di punti di riferimento certi. È utile iniziare la progettazione almeno due anni prima dell’inizio dell’attività, che così potrà prendere forma e acquisire basi solide. Certo non è semplice; significa investire tempo, energie e denaro per qualcosa che deve ancora definirsi e che, partendo dal basso, si caratterizza per l’informalità. Inoltre è bene che il gruppo dei genitori si conosca a fondo; ancora meglio sarebbe se le dinamiche di gruppo fossero affrontate con la presenza di un facilitatore, che può aiutare a fare emergere aspetti personali, come valori e stili educativi, e che può proporre tematiche pedagogiche per stimolare riflessioni di gruppo».
Anche Francesco Bernabei, da anni sviluppatore sociale in ambito educativo, sottolinea l’importanza della motivazione. «Vanno ben capiti obiettivi e scopi che le famiglie e le figure di riferimento si pongono in partenza. Se tutto si limita a un servizio all’infanzia, vale il quadro normativo esistente, per esempio con i bandi regionali o locali che sostengono economicamente le famiglie se non addirittura le strutture. Se invece l’intenzione è quella di promuovere un approccio educativo innovativo, le famiglie diventano le vere protagoniste per costruire la road map del processo sociale che si vuole attuare. Meglio non avere fretta e considerare attentamente tutto il contesto, questo di solito limita le tensioni sociali e migliora il clima di queste attività che hanno soprattutto bisogno di una certa armonia».
Pedagogia: come orientarsi
«Una delle scelte prioritarie dovrà essere quello dell’approccio pedagogico, orientandosi tra le varie opzioni possibili» prosegue la dottoressa Fazioli. «Idealmente dovrebbe essere compito degli educatori, perché orientarsi richiede tempo e studio approfondito e, quando la scelta di un approccio pedagogico è solo nelle mani dei genitori, si rischia di fare confusione. I primi anni del bambino sono quelli più delicati e quindi occorre essere consapevoli di cosa e come si mettono in campo le scelte pedagogiche. Darsi il tempo per studiare, riflettere, confrontarsi permette di rispettare passaggi indispensabili prima di praticare interventi educativi. È vero che la comunità può essere educante, ma solo se è una comunità consapevole».
Gruppo compatto
«A maggior ragione, dunque, nelle scuole parentali il gruppo promotore dovrà essere compatto» aggiunge Cecilia Fazioli. «Ciò vuole dire che gli adulti che ne fanno parte devono sapersi confrontare tra loro con flessibilità, apertura al dialogo, disponibilità a superare il proprio punto di vista per costruirne uno collettivo. L’educatore deve saper coinvolgere e dare linfa vitale al progetto attraverso l’apertura e il confronto, all’interno e all’esterno, costruendo legami significativi con il territorio. Come diceva Martin Buber, la vera battaglia è fra educazione e propaganda».
La forma giuridica
Una volta individuato il modello pedagogico e chiariti i valori di base, occorre poi cercare concretamente una forma giuridica, una sorta di inquadramento per il gruppo che si viene a creare. Come muoversi su questo fronte così delicato?
«La forma giuridica può essere diversa a seconda delle necessità e degli obiettivi» spiega l’avvocato Stefano De Paolis, che da tempo si occupa dell’argomento. «Un nido parentale avrà una struttura diversa rispetto a una primaria o una materna. Potrebbe andare bene una forma associativa semplice, come anche una cooperativa; è utile valutare caso per caso».
Anche Bernabei è sulla stessa linea: «Fissati e capiti obiettivi e scopi, progettati i mezzi più idonei e coerenti, la scelta della forma viene da sé. La partenza è sempre informale, poi se a prevalere è il progetto piuttosto che il bisogno di definire posizioni contrattuali sul lungo periodo, ci si orienta verso l’associazionismo, con tante differenze. Se invece la condizione lavorativa è da definire subito, allora si propende per una cooperativa spesso sociale. Ci sono anche attività profit interessanti, ma ne incontro decisamente meno perché i costi aumentano sensibilmente e sono tali da scoraggiare almeno in fase iniziale». Ci sono poi differenze notevoli che dipendono dalle età dei bambini: «Un conto è la fascia 0-6 anni e un altro la fascia oltre i 6 anni» prosegue Bernabei. «La prima infanzia prevede soprattutto la dimensione educativa, quella dell’istruzione diventa più importante dopo».
A ritenere fondamentale la scelta della forma più idonea alla funzione pensata per la realtà che si sta per costituire sono anche Linda Cardinali e Barbara Susini, avvocatesse fiorentine che seguono alcuni gruppi di genitori alle prese con scuole parentali. «È bene valutare con prudenza evitando di creare mostri giuridici che si rivelerebbero poi troppo pesanti da gestire» spiegano. «Altra fase delicata è quella dell’individuazione del luogo o della singola abitazione in cui più famiglie intendono svolgere il percorso educativo. La valutazione dei rischi e della sicurezza, anche solo sotto il profilo della responsabilità civile, sono elementi fondamentali. Infine anche l’individuazione e l’assunzione dell’educatore o l’incarico ai singoli genitori è altra fase da gestire. Così come importante è l’informazione circa i requisiti che deve possedere il genitore ai fini dell’insegnamento parentale diretto e dell’esame annuale di idoneità».
A consigliare, almeno all’inizio, in molti casi la costituzione di quello che si chiama “gruppo di famiglie” è Serena Bertini, commercialista fiorentina che segue alcune esperienze di scuola parentale. «Si tratta di un’organizzazione senza personalità giuridica, molto snella, che permette di soddisfare le esigenze di gestione e il perseguimento delle finalità istituzionali» spiega la dottoressa Bertini. «Benché la forma non influisca sul tipo di offerta didattica, è chiaro però che quanto più numerosa sarà la comunità, tanto più saranno necessari strumenti idonei a garantirne il corretto funzionamento. In caso di gruppo molto ampio, l’associazione può essere uno strumento giuridico idoneo».
Gli ostacoli più comuni
«Non sono comunque pochi gli ostacoli burocratici, anche perché la legislazione italiana sulla materia è molto lacunosa» prosegue Bertini. «Pertanto, per alcune problematiche, talvolta anche noi professionisti ci troviamo a dover affrontare questioni che non hanno una soluzione immediata proprio perché manca ancora in Italia un definito riconoscimento giuridico dell’educazione parentale».
Inoltre, superati gli scogli burocratico-amministrativi, può anche accadere che «i gruppi si incaglino proprio sulla coesione sociale» commenta Bernabei, che ha avuto esperienza di queste dinamiche. «Le differenze di vedute e posizione possono determinare confusione o addirittura conflitto, perché l’educazione e tutti gli argomenti connessi richiedono grande attenzione e cura e sono di importanza primaria per qualsiasi genitore, che proprio per questo fatica a derogare. Mi pare inoltre di osservare una generale incapacità delle persone di “stare insieme” sul serio; ci ritroviamo immersi in una società che non è veramente unita e ogni qualvolta siamo chiamati al confronto in una dinamica di gruppo, rischiano di prevalere le differenze, che si rivelano facilmente disgregative. Consiglio quindi di pensare prima di tutto e sempre al benessere dei bambini: quando stanno bene loro, tutto avviene di conseguenza. Poi è utile curare le relazioni e non dare nulla per scontato da questo punto di vista: il successo del progetto dipende proprio da come le persone si orientano. Ecco perché è strategica per questo scopo una comunicazione semplice, coerente ma anche inclusiva. Sembrano cose banali ma, al netto di tutto, fanno la differenza fra un processo che può definirsi sociale e uno indirizzato solo al risultato immediato».
Anche la dottoressa Bertini ha un consiglio da dare alle famiglie che vogliono intraprendere questa strada: «Che prestino grande attenzione al progetto formativo e garantiscano le capacità tecniche e le competenze necessarie al percorso di educazione, anche attraverso l’ausilio di istitutori e altre figure di supporto alle attività didattiche. Consiglierei inoltre di creare quante più sinergie possibili con altre comunità dello stesso tipo, al fine di sviluppare una rete di conoscenze e di integrazione in grado di dare maggiore risalto a una realtà che è in evoluzione e che permetterebbe anche di rapportarsi in maniera più adeguata con le istituzioni».
Vaccini, obblighi e comunità educative
Nel generale fermento che ha portato all’aumento di richieste/proposte di scuole parentali non può essere ignorato il peso avuto dalla legge 119 del 2017 che ha introdotto dieci vaccini obbligatori, e relativi richiami, nella fascia di età da 0 a 16 anni, con esclusione dei bambini non in regola da asili nido e scuole materne.
«È innegabile che la recente legge, nella sua totale carenza di necessità e urgenza e con alle spalle un processo politico-legislativo discutibile, abbia contribuito ad ampliare la diffidenza di una fetta sempre maggiore della popolazione verso le istituzioni, percepite fortemente come distanti e ostili, ormai preda di interessi diversi da quelli del buon governo» spiega l’avvocato De Paolis. «E di conseguenza, tale provvedimento ha spinto un numero ancora più alto di famiglie a cercare di uscire dal sistema di istruzione statale o paritario, dirigendosi verso la scelta dell’educazione parentale». Fuori da ogni valutazione di merito circa le scelte operate dal legislatore, la dottoressa Bertini aggiunge che «tale assetto normativo ha certamente determinato un effetto collaterale che rischia di produrre una sottrazione di bambini e ragazzi al sistema scolastico, piuttosto che un adeguamento ai livelli minimi della tutela sanitaria».
Gli esperti intervistati
Francesco Bernabei
Sviluppatore sociale, classe 1971, segue processi di affermazione di un modello educativo e formativo per bambini e giovani al di fuori della scuola tradizionalmente intesa
Cecilia Fazioli
Pedagogista, facilitatrice della Rete delle scuole pubbliche all’aperto, già co-fondatrice di un’esperienza di scuola parentale nel Faentino.
Stefano De Paolis
Avvocato romano, esperto in diritto di famiglia e amministrativo. Responsabile del team legale di Assis (Associazione di studi e informazione sulla salute).
Linda Cardinali e Barbara Susini
Avvocatesse fiorentine, sono esperte di diritto amministrativo e civile; si occupano anche di formazione, educazione e istruzione.
Serena Bertini
Commercialista fiorentina, segue da tempo esperienze di scuola parentale in Toscana per gli aspetti riguardanti la fiscalità.