Outdoor education, cioè educazione all’aperto, anche nelle scuole pubbliche, comprese quelle in città. Sì, è possibile, basta volerlo e usare la creatività.
Lo dimostra l’esperienza di Dario Gasparo, 58enne, professore di matematica e scienze in una scuola media di Trieste, l’Istituto Valmaura) che ha un suo modo innovativo di fare scuola. “Ho da sempre coinvolto i ragazzi in uscite in passeggiate, giri in barca, in bici, sul carso triestino, persino in grotta e anche di notte. Gli spunti che la natura ci dona sono infini.Quando esco in bicicletta con i miei studenti approfitto dei cambi per spiegare le proporzioni, per studiare geogafia li porto a vedere le vette, da una foresta di faggi racconto come sopravvivono le piante in carenza di luce e come gli animali si adattano all’ambiente. Abbiamo anche girato video sotto la pioggia, in città, inventando e leggendo poesie”.
La sua è una scuola pubblica, nella periferia di Trieste, un contesto sociale non facile, con tendenza all’abbandono scolastico. “I ragazzi si concentrano meglio all’aperto. Le attività pratiche, concrete, risvegliano il loro interesse e la motivazione. E in fondo anche noi insegnanti ci divertiamo di più”.
“Mi auguro che si faccia sempre più lezione all’aperto, in ogni scuola. Gli spazi si trovano, anche in città, basta volerlo, organizzarsi.”
Il professore triestino non usa mezze parole “La scuola che si ostina a catturare i giovani corpi degli adolescenti imbrigliandoli su un banco, oggi isolato e senza compagno: è una scuola da cambiare.”
Secondo il prof. Gasparo è fondamentale che anche dal Ministero ci sia un maggiore impulso all’outdoor education, magari con finanziamenti ad hoc
Scuola all’aperto non è rifiuto della tecnologia, ma usare le tecnologie in modo creativo: “I ragazzi hanno imparato a fare montaggi video per documentare, comunicare, con la webcam siamo andati fin dentro le grotte”
E con i 30 mila euro vinti dal premio Italian Teacher Prize, Dario Gasparo ha contribuito a riqualificare un’area abbadonata dietro la scuola creando uno spazio attrezzato all’aperto, 650 metri quadrati, inaugurato a settembre 2020.
“Progettato insieme ai ragazzi che hanno preso le misure e seguito tutti i lavori, è composto da un anfiteatro, uno stagno di 3 metri di diametro per accogliere le specie anfibie che cercano le aree umide per la riproduzione, mentre il sentiero botanico è stato realizzato in parte in trincea, per simulare il punto di vista di un riccio che cammina basso sul terreno alla ricerca di lombrichi, insetti, radici – spiega il docente – Possiamo osservare la microfauna, le radici delle piante, le loro foglioline basali, spiegare a sperimentare l’agricoltura biologica, l’importanza del suolo. Al centro c’è un grande albero che con la sua chioma ospita gli uccelli urbani e protegge dal sole i ragazzi che studiano”.
Ogni giorno in quello spazio attrezzato lavorano fino a 2 o 3 classi: “Gli studenti imparano meglio se svolgono le attività all’aperto e alternano momenti seduti al movimento – continua il professore – Quando ci concentriamo sulle scienze, li faccio saltare, misurare la pulsazione cardiaca, correre lungo un sentiero che simula il percorso di un globulo rosso. Anche ascoltare una lezione seduti in mezzo agli alberi, nel verde, respirando l’ossigeno prodotto dalle piante, aiuta la concentrazione e rasserena i ragazzi”.
Nei prossimi anni gli studenti piantumeranno nuovi alberi, tipici del paesaggio carsico triestino: dalle querce ai frassini, alle carpinelle. Nel boschetto di alloro già presente ci sono percorsi ombreggiati didattici, che spiegano il differente microclima, gli aspetti ecologici e la biodiversità.
Gasparo ha creato dunque una sorta di oasi, un rifugio verde nella periferia della città. Un progetto innovativo e pubblicato sullo Yearbook, rassegna annuale promossa dal Consiglio Nazionale degli Architetti che raccoglie i migliori progetti di architettura.
“L’auspicio è che l’esperienza di questo progetto possa fungere da apripista, occorre davvero rinnovare la didattica e il modo di concepire la scuola ed i suoi spazi” spiega Gasparo. Ci sono già molte scuole pubbliche, aderenti alla Rete Scuole all’Aperto, che stanno realizzando spazi analoghi. E se non c’è spazio nel cortile scolastico, l’aula si può realizzare nei parchi urbani.
Lo spazio triestino sarà presto aperto alle associazioni che vorranno utilizzarla per scopi sociali e inclusivi. Tra queste c’è l’associazione MiTi, fondata in ricordo del figlio Mitja, tragicamente morto 6 anni fa, in un incidente stradale, a soli 24 anni. Un ragazzo che amava lo sport, la solidarietà, la natura. Per ricordarlo, e aiutare tanti altri giovani, in questi anni l’associazione ha realizzato progetti solidali, sportivi e ambientali, di integrazione e contrasto del razzismo, in questi luoghi al confine, crocevia di immigrazioni.
“Perchè la scuola non deve restare chiusa in se stessa, ma cambiare il mondo che la circonda”.
di Linda Maggiori