Giuseppe Paschetto insegna alla scuola media di Mosso (Biella) e ha fatto scelte che hanno restituito ai ragazzini l’amore per l’apprendimento.
Ha anche condensato in un documento il suo approccio, intitolandolo “Alunni felici di venire a scuola“. È lui stesso a raccontarcelo per condividerlo con chi segue “Tutta un’altra scuola“.
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Nei mesi scorsi ho predisposto un documento che è poi stato inserito tra gli obiettivi del piano di miglioramento della mia scuola, l’Istituto Comprensivo di Valle Mosso (BI). Il documento, in chiave volutamente provocatoria, si intitolava “Alunni felici di venire a scuola”. Un titolo fatto apposta per scandalizzare perché anche tra gli operatori scolastici paradossalmente i termini “felicità” e “venire a scuola” sono visti come una contraddizione in termini. Eppure, ho pensato, ha un senso preciso puntare dritti alla felicità degli alunni che vengono a scuola, dato che il tempo passato a scuola è una parte considerevole della giornata per ogni bambino o ragazzo dai 3 ai 19 anni.
Quindi non solo studenti consapevoli, responsabili, impegnati ma proprio felici, essendo “felicità” un termine che va anche oltre a quello di solito usato di “benessere”.
Spesso tra le azioni dei piani di miglioramento che discendono dai rapporti di autovalutazione si trovano interventi che riguardano il miglioramento delle performance nelle prove Invalsi, la riduzione del numero di non ammissioni, la coerenza tra consigli per le scuole superiori e scuole effettivamente frequentate con successo dagli alunni, il miglioramento del lavoro in team dei docenti, tutti obiettivi importanti e rispettabili, ma nulla che abbia a che fare con quello che pare essere il presupposto fondamentale per il vero successo scolastico, ovvero “venire a scuola con piacere”. E non si intende in questo senso solo creare le condizioni per avere alunni consapevoli dell’importanza della scuola ma qualcosa in più che riguarda proprio la felicità, ovvero la sensazione di piacere e di piena soddisfazione dei propri desideri che si prova nel fare qualcosa.
Per rendersi conto di come tale azione sia in realtà fondamentale e propedeutica a varie altre, occorre però da parte dei docenti mettersi in discussione alle radici, smontare una serie di meccanismi di coazioni a ripetere, avviare con coraggio una rivoluzione pedagogica, metodologica ed organizzativa, insomma una vera rivoluzione culturale.
Ognuno di noi ha sperimentato la diversa percezione del trascorrere del tempo, la differente capacità di assimilare concetti e di concentrazione in situazioni diverse. Si pensi ad esempio ai corsi di formazione o comunque alle riunioni a cui partecipiamo, e proviamo a immedesimarci. Si paragoni il nostro atteggiamento quando dobbiamo partecipare un corso a cui siamo obbligati, per il quale non abbiamo interesse, né ci vengono fornite motivazioni e magari con docenti formatori svogliati, superficiali e poco motivati e il differente approccio a un corso che abbiamo scelto, che ci interessa o comunque per il quale ci sono state fornite motivazioni e che sia tenuto da docenti in grado di appassionare e tenere desto l’interesse. Si può dire che nel primo caso i concetti esposti ci passino tranquillamente sopra la testa o al più li tratteniamo per qualche questionario di fine corso, che ci sentiamo annoiati, a volte arrabbiati e comunque che non vediamo l’ora che tutto finisca. Nel secondo caso i concetti si trasferiscono nelle aree della memoria a lungo termine, sono oggetto di elaborazione per metterli in pratica e trasformarli in competenze, ci si sente soddisfatti, si può dire addirittura felici, e il tempo pare volato via.
E allora si capirà quanto c’entri il concetto di felicità degli alunni come presupposto per il successo formativo, concetto che sarà di seguito esposto.
Venire a scuola dovrebbe essere sempre una esperienza significativa e piacevole. Per i bambini piccoli apprendimento, vita e piacere sono termini coincidenti. La loro vita è fatta di continue scoperte e quindi di apprendimento, conseguito di norma attraverso l’esperienza, l’imitazione, il gioco. La curiosità e l’esplorazione dell’ambiente circostante sono fonti di continuo e piacevole apprendimento. Le cose cominciano a cambiare con l’ingresso nella scuola d’infanzia, quando l’apprendimento si incanala in un flusso in cui la creatività comincia ad essere scalfita. Peggiorano nella scuola primaria dove l’apprendimento spontaneo è incardinato nella sequenza discipline- compiti-voti-pagelle-punizioni-gratificazioni. Ma è nella scuola secondaria di I grado che le cose peggiorano in modo sensibile e con l’ingresso nella scuola secondaria di II grado la scuola è ormai sinonimo nella percezione comune degli studenti di prigione, costrizione, vuoto rito obbligatorio poco significativo, e che non di rado si svolge in locali sciatti, grigi, poco curati, caratteristica comune a molte istituzioni totali o uffici pubblici, caserme, prigioni, ospedali, tribunali, ecc.
La scuola dovrebbe essere invece sempre e a ogni livello sinonimo di esperienza significativa e piacevole, non intendendo ovviamente il termine piacere in chiave edonistica o di puro svago ma come esperienza gratificante a cui si accede senza necessità di costrizione.
Tale assunto è confortato da una serie di dati che derivano dai più recenti studi nel campo delle neuro-scienze, basti pensare agli studi di Daniel Seigel e Tina Bryson, dall’apparato teorico di correnti pedagogiche, psicologiche e sociologiche che si basano sul pensiero e la pratica di figure come Dewey, Freinet, Freire, Illich, don Milani, Maria Montessori, e da sperimentazioni svolte e anche da quanto teorizzato da esperti come il prof. Del Gottardo e il prof. Ciambrone che si muovono esattamente in tale direzione.
Il fatto che la Dirigenza Scolastica dell’Istituto abbia proposto la partecipazione a due corsi di formazione con docenti portatori di idee tanto innovative, e per certi versi rivoluzionarie, condividendone evidentemente l’impostazione, stimola la ricerca per mettere in pratica quanto è stato insegnato dai due esperti.
In Buthan, un Paese in cui la persona è veramente al centro, esiste il ministero della felicità e al posto del PIL c’è il FIL, ovvero il tasso di Felicità Interna Lorda (in inglese Gross National Happiness – GNH). Così dovrebbe essere anche a scuola, dopo aver spazzato via tutta quella terminologia pseudo-economica che ha invaso il mondo dell’istruzione, in cui fanno la parte del leone parole come prodotto, resa, rendimento, debito, credito, risultato, ecc. ecc.
Una scuola può avere la migliore programmazione del mondo, insegnanti in grado di spiegare in modo chiaro, attenzione ai contenuti, ma se manca la relazione tutto il castello cade ancora prima di essere costruito. Lo sforzo primario dovrebbe essere proprio quello di costruire l’adatto ambiente relazionale tra docenti e alunni da cui discenda poi una rete di rapporti solida tra gli studenti.
Possiamo sostituire il termine relazioni con empatia, con quella capacità che dovrebbe essere di primaria importanza negli insegnanti, prima ancora della conoscenza perfetta della propria disciplina. Entrare nei panni dell’altro, coglierne le emozioni, le difficoltà, comprendere davvero quella semplice ma straordinaria verità che dovrebbe farci considerare ogni alunno diverso da un altro, ognuno di loro e non solo quelli certificati come BES, portatore di bisogni educativi speciali. Perché ognuno di noi è un pezzo unico e non replicabile. In questo modo dovrebbe essere più semplice capire che a ogni alunno si adattano diversi stili educativi e di apprendimento. “Persino tra i fiocchi di neve “ come affermava Danilo Dolci “ non se ne trova uno uguale all’altro”. Non si tratta di prendere questa frase come una poetica dichiarazione di principio ma come base per cambiare nei fatti il proprio punto di vista. Possiamo costringere a imparare? E’ un’illusione: l’apprendimento per costrizione si scioglie come neve al sole. Il verbo imparare è uno dei pochi, forse insieme a amare e sognare, che non ammette l’imperativo.