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Perché la pedagogia del bosco oggi in Italia?

Pubblicato il 16 marzo 2021 0

Ospitiamo l’intervento di Stefania Donzelli, accompagnatrice del progetto Asilo nel bosco dell’associazione Fuori dalla Scuola in Brianza.

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«Abbiamo seguito con interesse il recente dibattito che si è sviluppato a partire dalle critiche che Christian Raimo ha rivolto all’esperienza dell’Asilo nel Bosco di Ostia e ai suoi fondatori e che si è arricchito dei contributi di Franco Lorenzoni, Paolo Mottana, Angela Pavesi e Michele dal Lago, e Luca Fagiano. Questa discussione ha toccato temi per noi significativi: l’identità della pedagogia del bosco, il valore sociale delle esperienze educative ispirate a questo approccio e le implicazioni politiche della posizione esterna alla scuola statale di molte di queste esperienze. Vogliamo quindi prendere parola a partire dall’esperienza di Fuori dalla Scuola, un’associazione di famiglie che da sei anni organizza in Brianza progetti educativi basati sulla pedagogia del bosco, e del gruppo di lavoro Pedagogia del Bosco | Ricerca e Formazione, che si occupa di studiare e diffondere riflessioni e buone pratiche dall’Italia e dal mondo relative a questo approccio.

In questo intervento ci rivolgiamo al movimento della pedagogia del bosco in Italia con l’intento di portare alla dimensione pubblica il confronto fra le diverse posizioni che lo attraversano – un confronto che, finora, si è svolto principalmente a livello informale o a latere degli eventi pubblici.

Vediamo come essenziale la dimensione delle critica, anche nei suoi aspetti più conflittuali, quando è tesa a porre questioni politiche rilevanti e a dipanare la confusione di slogan semplicistici. Il nostro obiettivo è partecipare a costruire una rappresentazione complessa della proposta educativa della pedagogia del bosco in Italia e contribuire a sviluppare una riflessione collettiva capace di interloquire con soggetti diversi, fuori e dentro la scuola, intrecciando la dimensione pedagogica, sociale e politica.

Secondo noi un proposta educativa è tanto più significativa quanto più sa riconoscere e porsi in relazione con il contesto in cui si colloca e le problematiche che presenta. Perché, quindi, la pedagogia del bosco oggi in Italia? Ne discutiamo a partire da due temi che caratterizzano la proposta di questo approccio che non sono stati affrontati nel dibattito attuale: il senso dell’immersione nel selvatico e le implicazioni del gioco spontaneo nei processi di apprendimento dei bambini. Ovviamente si tratta di temi che meriterebbero una trattazione ampia, specialmente se consideriamo che anche chi organizza “asili” e “scuole nel bosco” – paradossalmente – non fa riferimento alla letteratura e alle esperienze del mondo della pedagogia del bosco[1]. Qui proponiamo alcuni spunti che vogliono invitare all’approfondimento.

In primo luogo, vogliamo chiarire che il bosco, come contesto di apprendimento, non si caratterizza semplicemente per la ricchezza, varietà e armonia di stimoli e possibilità senso-motorie che offre – un ingrediente comunque importante per il benessere nella prima infanzia e non solo. Fondamentale è anche e soprattutto l’opportunità che apre di fare esperienza degli equilibri e dei processi che regolano la vita sul nostro pianeta e di come questi siano sempre in relazione con la presenza umana e le sue attività. Un rapporto continuativo con la dimensione selvatica è quindi in antitesi alla visione della natura come spazio ‘incontaminato’, che apre a un supposto ritorno a una dimensione fuori dalla storia, o come spazio ‘eccezionale’, dove promuovere il consumo del raro e del bello.

Grazie all’immersione nella biodiversità, ə bambinə possono piuttosto fare esperienza diretta delle inter-dipendenze, delle connessioni e dei limiti fra esseri umani, altre forme viventi e cicli naturali. Inoltre possono portare questa consapevolezza in altri contesti: si parte dal bosco, non per restare nel bosco, ma per stare diversamente nel mondo. Questo ‘diversamente’ pensiamo derivi dall’aver interiorizzato che vivere bene in un luogo, qualunque esso sia, richiede sempre di riconoscere l’esistenza di molteplici bisogni e punti di vista in relazione fra loro. Se poi prendiamo in considerazione l’attuale rimozione collettiva degli effetti della devastazione ambientale e dello sfruttamento delle risorse, il contributo della pedagogia del bosco acquisisce maggiore rilevanza.

In secondo luogo, vorremmo riportare l’attenzione sul gioco spontaneo come una modalità di interazione che viene particolarmente valorizzata dalla pedagogia del bosco. Il gioco spontaneo è quel gioco che emerge da una spinta interiore deə bambinə ed è da loro iniziato e guidato: sono ə bambinə a prendere l’iniziativa, a decidere gli obiettivi e i modi in cui raggiungerli, a proporre e mettere in pratica strategie di risoluzione dei problemi e a scegliere quando concludere l’attività. Nel gioco spontaneo ə bambinə possono quindi sperimentare la responsabilità di sviluppare le proprie idee insieme a un gruppo di pari, esercitando autonomia di valutazione e iniziativa e capacità di collaborazione.

Il gioco spontaneo è poi un’attività sempre contestualizzata, che dipende cioè dalle caratteristiche dei singoli partecipanti, delle diverse comunità cui appartengono e del contesto in cui vivono e, per questo, funziona come uno spazio di comprensione, appropriazione ed elaborazione della cultura in cui si è immersi. L’apprendimento nel gioco non si realizza solo attraverso l’immagazzinamento di conoscenze, né solo attraverso l’emergere delle abilità innate deə bambinə. Piuttosto è un processo di trasformazione del soggetto stesso, come anche del contesto in cui è immerso. Questo elogio al gioco spontaneo non è però da intendersi come una romanticizzazione deə bambinə, ma piuttosto come un riconoscimento della dimensione sociale dell’apprendimento – spesso svilita dall’attuale tendenza a strutturare il tempo deə bambinə secondo esigenze adulte di produttività.

Sebbene la pedagogia del bosco non si esaurisca nel valorizzare l’immersione nel selvatico e il gioco spontaneo, questi due elementi insieme già forniscono alcune indicazioni sulla funzione sociale attribuita all’educazione in questo approccio. Non si tratta qui di ambire alla felicità deə bambinə, né di mirare alla formazione di capitale umano in grado di competere sul mercato del lavoro. Piuttosto l’aspirazione è quella di collocare il pieno sviluppo di ogni bambinə nella complessità del contesto attuale e di declinarlo come acquisizione progressiva delle competenze utili a riflettere e agire nel mondo per trasformarlo insieme ad altri. In questo senso, la pedagogia del bosco è un approccio essenzialmente politico perché interessata al mondo e al suo cambiamento.

Affinché queste affermazioni non suonino come vuota retorica è necessario soffermarsi sul ruolo educativo dell’adulto nella pedagogia del bosco. Dare spazio e valore al gioco spontaneo non significa limitarsi ad essere spettatori delle attività deə bambinə o rinunciare all’interazione con loro. Le responsabilità degli adulti si sviluppano in varie direzioni: osservare ə bambinə per coglierne bisogni e interessi, scegliere gli ambienti e i materiali di apprendimento, sostenere la riflessività sulle esperienze vissute e curare la qualità delle relazioni. Identificare queste direzioni è fondamentale per sostenere l’intenzionalità educativa dei singoli e delle équipe e per confrontarsi su obiettivi, strumenti e buone pratiche di un movimento educativo, come quello della pedagogia del bosco, che in Italia ha una storia ancora recente.

Rispetto alla discussione sui ruoli degli adulti, educatori e/o genitori, nella relazione con ə bambinə, osserviamo da più parti semplificazioni che ci sembrano controproducenti. La tendenza di alcuni, per esempio, a sintetizzare il ruolo dell’educatore nei progetti all’aperto come ‘amorevole’ e ‘affettuoso’ perde l’opportunità di indagare questi sentimenti, che sono anche dei costrutti culturali, e di interrogarsi sui messaggi che veicolano aə bambinə . In altre parole, richiamarsi genericamente all’amore non offre strumenti efficaci a confrontarsi con la complessità dei bisogni e delle relazioni umane che emerge quotidianamente in qualunque progetto educativo. Inoltre, vogliamo anche sottolineare che questo discorso riproduce l’occultamento e lo svilimento – già sistematico – delle competenze richieste nei lavori di cura che sono poi prevalentemente svolti da donne.

Specularmente, vediamo come altrettanto dannosa la tendenza a stigmatizzare come ‘privatiste’ e ‘reazionarie’ le scelte dei genitori che propongono ai figli esperienze educative alternative alla scuola statale. Pensiamo non vada confusa l’adesione a un approccio pedagogico con una volontà controllante. La partecipazione dei genitori alle comunità educanti mira sì a costruire continuità fra diversi ambienti educativi, ma questa continuità, per essere realizzata, richiede ai genitori di andare oltre la propria parziale prospettiva per mettere in discussione certi automatismi educativi e per collaborare con il gruppo sulla base di obiettivi e valori comuni. Se questi processi non vengono sufficientemente sostenuti e valorizzati, le comunità educanti si disgregano e i progetti chiudono. La costruzione di un patto educativo con le famiglie è quindi centrale e permette anche di dare valore al lavoro riproduttivo realizzato dalle famiglie.

Nella pedagogia del bosco, proprio per la visione dell’apprendimento come fenomeno sociale e partecipato, si riconosce l’eterogeneità della comunità educante che, come ogni gruppo umano, è inevitabilmente vario – vuoi per corpi, temperamenti, abilità, ma anche percezioni, esperienze, idee. Così ə bambinə possono confrontarsi con un’ampia varietà di modelli adulti e di equilibri complessi fra i differenti bisogni che attraversano una comunità. Questo tipo di confronto quotidiano con la diversità è facilitato dal familiarizzarsi con un ambiente biodiverso e dal dare valore a tempi e spazi per l’emergere delle individualità, ma è anche un lavoro quotidiano di attenzione al linguaggio, selezione dei materiali di apprendimento e riflessione sulle contraddizioni sociali che entrano nella vita deə bambinə. Indubbiamente non è un lavoro che può essere dato per scontato e va costruito attraverso una cultura pedagogica orientata alla giustizia sociale.

In quest’ottica, troviamo fondamentale sottolineare che le differenze, dentro e fuori le comunità educanti, sono anche il prodotto delle disuguaglianze. Questo pone la questione dell’accessibilità ai progetti educativi di pedagogia del bosco – specialmente considerando che una gran parte di questi si è sviluppata fuori dalla scuola pubblica e che l’accesso al selvatico rimane un privilegio: le distanze, i costi del trasporto e dell’attrezzatura, i limiti infrastrutturali costituiscono barriere importanti. Accanto a questi limiti, esistono anche potenzialità: bambinə che risultano disabilitatə dal contesto scolastico tradizionale trovano, nei progetti di pedagogia del bosco, un ambiente sufficientemente flessibile a rispondere ai bisogni che portano e a valorizzarne il contributo. Queste osservazioni ci sembrano utili a problematizzare la relazione fra accessibilità e piena partecipazione non solo in relazione alla scuola, ma più in generale rispetto a tutti gli ambienti educativi e pensiamo sia in questi termini che vada affrontato il tema delle disuguaglianze.

Il riconoscimento dei punti di forza delle esperienze di pedagogia del bosco esterne alla scuola ha fatto emergere un certo interesse fra singoli educatori, insegnanti e dirigenti scolastici per una possibile trasposizione e traduzione di riflessione e pratiche. L’arrivo della pandemia ha attivato diversi processi che si sono inseriti in questa tendenza: le disuguaglianze sociali si sono esacerbate, certe criticità della scuola si sono acuite con la didattica a distanza, l’outdoor si è spostato al centro del discorso pubblico come possibile strada per limitare la circolazione del virus e una minoranza di famiglie ha lasciato la scuola per sperimentare alternative. In questo contesto, alcune realtà di educazione all’aperto hanno auspicato un sostegno statale diretto alle famiglie per accedere a progetti organizzati nel privato o nel terzo settore, sollevando reazioni negative all’uso privatista delle risorse statali. Parallelamente è emersa una critica generalizzata alle esperienze alternative – come l’homeschooling, i progetti di pedagogia del bosco e di educazione libertaria – per il loro supposto ruolo di indebolimento della scuola pubblica.

Sulla base di quanto detto finora, pensiamo che sia necessario discutere la relazione fra chi sta dentro e fuori la scuola statale oltre la contrapposizione fra pubblico e privato. Vogliamo sottolineare come una posizione esterna alla scuola e alle sue gerarchie organizzative sia stato un fattore fondamentale per sperimentare pratiche educative basate sull’immersione nel selvatico e il gioco spontaneo. Per questo, molti progetti non mirano a ottenere uno status paritario alla scuola e nemmeno a ricevere risorse pubbliche attraverso un sistema come quello dei voucher. Anzi, quest’ultimo tipo di soluzione crediamo rischi di diffondere un atteggiamento da “supermercato pedagogico” che porterebbe i progetti a insistere sulla dimensione della performance, dei risultati raggiunti o della quantità di attività proposte, mentre le famiglie finirebbero per acquistare un ‘prodotto’ educativo senza una trasformazione della propria visione dell’infanzia e dell’apprendimento.

Piuttosto, il patrimonio di esperienze e riflessioni costruito negli ultimi anni dal movimento della pedagogia del bosco, non andrebbe né semplificato, né sminuito, ma nemmeno assunto come maturo. Crediamo vada continuato il lavoro di scambio e confronto – dentro e oltre questo movimento – sui fondamenti di questo approccio, le buone pratiche che emergono, le criticità e i benefici che si individuano man mano. La comunicazione di questo scambio e confronto va certamente diffusa con attenzione attraverso sintesi che non siano semplificazioni confuse, fraintendibili o unicamente orientate alla visibilità. Crediamo che l’eterogeneità appartenga sia alla scuola, sia ai progetti di pedagogia del bosco e ci auguriamo che si sappiano costruire alleanze fra soggetti che, al di là della collocazione rispetto alle mura scolastiche, abbiamo valori e obiettivi compatibili. Per noi l’orizzonte è lavorare perché la rilevanza pedagogica, sociale e culturale delle esperienze più sperimentali sia riconosciuto nel discorso pubblico e possa contribuire a costruire una visione del cambiamento sociale verso cui andare – utile anche per la scuola».

* Utilizziamo lo schwa nella parola “bambinə” per mettere in luce i limiti della lingua italiana che è fortemente caratterizzata dal genere: senza questo o altri segni grafici come l’asterisco è impossibile parlare di sé o di altri senza menzionare il genere o parlare di persone che non si identificano in uno dei due generi binari. Usare lo schwa è quindi per noi un modo di segnalare l’importanza di muoversi nella direzione dell’inclusività, anche rispetto all’uso della lingua. Per approfondire, segnaliamo questo sito: https://italianoinclusivo.it/perche/

[1]   Segnaliamo alcune testi fondamentali della letteratura sulla pedagogia del bosco: https://pedagogiadelbosco.com/bibliografia/  e https://www.facebook.com/media/set/?vanity=pedagogiadelbosco&set=a.589421781516963

Stefania Donzelli è accompagnatrice nel progetto Asilo nel bosco dell’associazione Fuori dalla scuola e partecipa al gruppo di lavoro Pedagogia del bosco | Ricerca e Formazione. Nel passato ha lavorato come ricercatrice all’International Institute of Social Studies dove ha conseguito un dottorato in Scienze Sociali.
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