C’era una scuola, nel Bolognese, che si ispirava a Don Milani e che ha resistito fino al 1999. Ce la racconta il fondatore, mons. Giovanni Nicolini.
Tra le tante esperienze educative che hanno messo e che mettono il bambino al centro e che Tutta un’altra scuola racconta, emerge anche la storia di un’esperienza nata da un sacerdote che si è ispirato agli insegnamenti di Don Milani.
La scuola paterna di Sammartini, piccola frazione nelle campagne del comune di Crevalcore, a circa trenta chilometri da Bologna, oggi non esiste più. Era nata nel 1980 e funzionò molto bene fino alla fine del 1999, anno in cui Mons. Giovanni Nicolini, parroco presso la chiesa del paese e fondatore insieme ad altre famiglie, fu trasferito a Bologna. La scuola si ispirava ai principi educativi di Don Milani seppure applicati in un contesto sociale profondamente diverso da quello in cui operava Don Lorenzo.
Si trattava di una vera e propria scuola itinerante ante litteram sostenuta saldamente da un gruppo di famiglie convinte e appassionate. Ne parliamo con lo stesso Mons. Giovanni Nicolini perché chissà che a qualcuno non venga in mente di riprendere un’esperienza che ha dato così tanto a genitori e ragazzi!
Come nacque la scuola paterna di Sammartini?
La scuola nacque da un gruppo di genitori che facevano parte della piccolissima parrocchia di campagna della quale sono stato parroco per oltre vent’anni a Sammartini. L’idea nacque anche grazie a un rapporto importante che personalmente avevo avuto con Don Lorenzo Milani e all’esperienza che avevo avuto l’opportunità di fare a Roma dove ero andato a studiare teologia e dove avevamo messo in piedi un’esperienza in una borgata alla periferia della città: la Borghesiana.
Che ruolo avevano i genitori?
A far nascere l’esperienza di Sammartini fu proprio la grande rifessione dei genitori. Nacque come una scuola loro. Loro sono stati le vere guide e anche, proporzionalmente alle possibilità di ciascuno, gli insegnanti stessi.
La scuola non aveva una sede. Dove si svolgevano le lezioni?
La scuola è nata in campagna senza neppure un edificio all’interno del quale svolgere le lezioni e il suo simbolo era la bicicletta. I ragazzini vagavano da una cascina all’altra, non c’era una sede in cui svolgere le lezioni. In una casa trovavano l’inglese, in un’altra la matematica, in un’altra ancora la storia o la geografia… Tra gli insegnanti si sono poi aggiunti anche gli amici dei genitori. Ma sostanzialmente è stata una scuola delle famiglie. Secondo lo stile di Barbiana, non esistevano le vacanze. La scuola era continua e diventava viaggi, percorsi insieme, incontri. Tutto questo era realizzato sempre con i nuclei familiari. Quando sono stato trasferito a Bologna, per alcuni anni ho avuto paura di ricominciare ma poi la cosa è ricominciata perché anche a Bologna, i genitori che erano venuti a conoscenza di quell’esperienza di campagna hanno voluto a tutti i costi che si cominciasse. Quindi la scuola prese inizio anche lì.
Poi cosa successe? Come mai si interruppe?
Sono iniziati ad arrivare anche nel Bolognesi famiglie straniere con bambini. La scuola statale ci chiedeva di essere presenti e di aiutare, quindi li abbiamo accolti nella nostra scuolina. Così abbiamo avuto sempre di più ragazzi, anche molto bravi, ma che non avevano alle spalle, in casa, in famiglia, quella stessa passione, quell’impulso, quella motivazione e convinzione che avevano fatto nascere la scuola. I genitori dei bambini stranieri conoscevano poco la nostra lingua, erano contentissimi di ricevere quell’aiuto ma purtroppo senza dare una vera e propria partecipazione. Quella loro mancanza di coinvolgimento diventò alla fine quasi totale. Erano sempre presenti anche i nostri ragazzi, ma il progressivo distacco si fece poi dominante al punto da soffocare quell’esperienza. Non siamo affatto pentiti di aver fatto del bene ma non c’erano più quelle forze dirette e quelle passioni affinché i ragazzi avessero le condizioni con cui si era iniziato. A Sammartini si andò un po’ avanti dopo la mia partenza e poi smisero. A Bologna, invece, siamo andati avanti ma l’esperienza è terminata ormai cinque anni fa.
Qual era il rapporto tra adulti e ragazzi?
Si stringevano rapporti tra adulti e ragazzi anche con gli amici insegnanti e non solo con i genitori, al punto tale che gli studenti consideravano quegli insegnanti come punti di riferimento, parlando con loro oltre che in famiglia, se ne avevano bisogno. Abbiamo avuto un vero e proprio incrocio tra mondo degli adulti e mondo dei ragazzi che è andato anche al di là della scuola e si è protratto anche oltre quegli anni.
In che modo la parrocchia era coinvolta nella scuola? Si trattava di una scuola religiosa?
Era una scuola guidata da un criterio di cristianesimo laico. Non facevamo religione a scuola. Il dato della fede, se doveva passare, passava attraverso la materia che si studiava. Si trattava di una fede, di un cristianesimo completamente immerso nel percorso di cultura.
Nel cristianesimo laico come si inseriva l’ispirazione religiosa?
L’ispirazione religiosa in realtà era molto forte però il linguaggio e i contenuti erano quelli delle materie e delle esperienze perché abbiamo fatto anche molte esperienze come incontri nel territorio e i viaggi sia in Italia che all’estero.
Le materie erano quelle delle scuole tradizionali?
Sì ma con gli arricchimenti che ci potevamo permettere di dare. Noi avevamo il tempo e la passione Ci siamo divertiti molto ed è stata un’esperienza molto interessante anche per noi adulti. La scuola era quella di Don Lorenzo Milani ma i genitori erano soliti dire che loro erano d’accordo nel mandarceli quindi noi non avevamo le difficoltà che aveva avuto a suo tempo Don Lorenzo.
Quanti ragazzi furono coinvolti?
Almeno una cinquantina di ragazzi.
E’ ancora in contatto con quei ragazzi anche se ora sono diventati adulti? Che tipo di inserimento hanno avuto nella società dal punto di vista sociale e professionale?
Sì, assolutamente. I rapporti sono rimasti molto forti e molti di loro ricoprono posizioni importanti.
Qual era il vostro rapporto con le scuole pubbliche della zona?
Molto buono. Siamo stati molto aiutati da loro. La scuola parentale aveva un impegno e cioè ogni anno si doveva fare un esame in una scuola pubblica. I casi della vita possono essere molti e pensavamo che se per caso, per qualunque caso, uno studente non fosse stato in grado di continuare qui, avrebbe potuto essere inserito anche in una scuola tradizionale senza perdere l’anno.
C’erano problemi relativamente agli esami? In che modo venivano valutati i ragazzi?
Gli esami andavano benissimo. Forse perché all’epoca Don Lorenzo era di moda. Gli insegnanti della scuola pubblica che ricevevano i nostri ragazzi per gli esami erano molto stupiti dal grado di assimilazione culturale che riscontravano.
In che modo si sosteneva la scuola dal punto di vista economico?
Era tutto rigorosamente opera di volontariato. Spendevamo i soldi quando si decideva di fare un viaggio. Si cercava, in quel caso di aiutarsi l’un l’altro in modo tale che non ci fossero esclusioni per motivi economici e che tutti potessero partecipare. Non abbiamo mai ricevuto sovvenzioni di alcun tipo. Noi avevamo la passione. La passione e il tempo…
di Marica Spagnesi