Come nasce e come si avvia una scuola parentale? La richiesta e l’attenzione sono in costante aumento da parte dei genitori. Da Cecilia Fazioli preziosi suggerimenti.
I genitori hanno la libertà di istruire i propri figli in realtà educative diverse dalle strutture scolastiche formalmente riconosciute dallo Stato. Le scuole parentali, sempre più diffuse in Italia, sono tra queste. Da un’esperienza di successo, ecco qualche suggerimento per iniziare.
Quando la scuola tradizionale non soddisfa le necessità del bambino, le soluzioni a cui i genitori possono ricorrere per rispondere ai bisogni educativi dei loro figli sono molteplici. Una possibilità è la creazione di comunità educative di piccole dimensioni, dove gli insegnanti vengono scelti dai genitori, quando non sono addirittura loro stessi a rivestire i panni di educatori. Si tratta delle cosiddette scuole parentali, un fenomeno in aumento negli ultimi anni in Italia.
Una delle esperienze entrate a regime è la scuola parentale CampoVolo di Faenza. Cecilia Fazioli, genitore coinvolto nel progetto e con alle spalle una formazione come pedagogista, nonché membro del progetto “Tutta un’altra scuola”, illustra i successi e gli ostacoli incontrati nella realizzazione dell’esperienza faentina. Da questa sua preziosa testimonianza si possono cogliere indicazioni e consigli su cosa aspettarsi e come affrontare il percorso per realizzare una realtà educativa di questo genere.
Cecilia, ci puoi spiegare prima di tutto come nasce una scuola parentale?
«Di solito in modo molto spontaneo, talvolta da uno scontento nei confronti della scuola statale, talvolta da un’attenzione maggiore ai bisogni del bambino. Spesso intorno a queste te- matiche si creano momenti aggregativi tra i genitori, che si conoscono e scoprono di non essere gli unici ad avere il desiderio di dare un’educazione alternativa ai propri figli. Così è avvenuto anche per CampoVolo, che è nato alcuni anni fa dalla volontà mia e di Roberta Ricci, un’altra mamma. Mio figlio più grande frequentava il secondo anno di scuola dell’infanzia e ogni giorno mi chiedeva di poter stare a casa perché non sopportava più di dover fare laboratori. Abbiamo parlato con altre famiglie, all’inizio è stato un esperimento, fatto anche di strade imboccate e poi abbandonate, di unioni e scissioni frequenti. Dopo una prima esperienza non molto felice durata un anno, alcune persone se ne sono andate e a quel punto abbiamo messo in piedi questo progetto avendo già alle spalle Zebragialla, associazione che si occupa di zooantropologia. Questo ci ha permesso di avere un contenitore strutturato e giuridicamente adeguato; infatti tutte le persone che par- tecipano sono associate e assicurate, mentre gli educatori ricevono dei rimborsi spese.
Una volta presa la decisione, da dove si comincia?
Innanzitutto, è bene sottolineare che la Costituzione, agli articoli 30 e 33, sancisce il diritto-dovere in carico al genitore di provvedere all’istruzione dei figli, ma non fa della frequenza alla scuola statale, o comunque istituzionalizzata, un obbligo di legge. In ogni caso, affinché i genitori non incorrano in problemi con le autorità, è necessario che il sindaco del Comune di residenza e il dirigente scolastico della scuola di riferimento siano avvertiti e che l’istruzione dei bambini coinvolti venga così garantita dall’impegno delle famiglie. Risolta la parte amministrativa, arriva la fase forse più difficile. Se all’inizio le famiglie coinvolte sono poche e il luogo scelto è quello domestico, in un secondo momento può nascere la necessità di trovare un posto più adatto, che per molti corrisponde a un ambiente immerso nella natura dove i bambini possano sperimentare il contatto con piante e animali. Soprattutto si rivela fondamentale tutelare l’incolumità dei piccoli e degli adulti che ne sono responsabili con una copertura assicurativa. Ed è proprio in questa fase che la scuola parentale fa un salto di qualità e può passare da una piccolissima realtà domestica a una realtà aperta che, oltre a tutelarsi, accoglie nuove famiglie.
Quale può essere il ruolo dei genitori in questo genere di realtà educative?
Superate le difficoltà logistiche, i genitori devono confrontarsi tra loro e decidere la strada da prendere. Molte famiglie, per coerenza con la loro scelta, portano avanti in autonomia anche tutta la parte didattica, sfruttando al meglio le competenze e le conoscenze di ogni adulto. In altri casi la difficoltà di conciliare i tempi della scuola con quelli del lavoro, una mancanza di preparazione a livello pedagogico e l’insorgere di particolari dinamiche tra figli e genitori, spingono questi ultimi ad affidarsi a educatori esperti. Come è facile immaginare, la ricerca delle persone giuste, che sappiano abbracciare l’idea pedagogica dei genitori e contemporaneamente tener fede al proprio ruolo di insegnanti e mantenere la giusta distanza, è senza dubbio un’altra criticità da affrontare che talvolta può portare alla resa e all’abbandono.
Da un punto di vista economico, quali difficoltà possono sorgere?
I costi giocano un ruolo molto importante nella sopravvivenza di queste esperienze. La presenza costante degli educatori, la manutenzione ordinaria della struttura, la qualità dei materiali utilizzati per le attività sono tutti elementi fortemente dipendenti dal fattore economico. Il motivo per cui molte scuole parentali aprono a più famiglie deriva proprio dalla necessità di autosostenersi. Allo stesso tempo però questa apertura esige spesso maggiori compromessi, e laddove ciò non si rivela possibile si può arrivare anche a scissioni e alla creazione di nuove realtà. Quindi, oltre alla difficoltà di mantenere un confronto continuo che richiede una grande capacità di mediazione, questi progetti sono talvolta difficili da sostenere, soprattutto nel lungo periodo, anche per questioni di cassa.
A differenza di altre realtà, per CampoVolo avete deciso di affidarvi a dei professionisti. Come mai questa scelta?
Nella nostra esperienza è stato sicuramente fondamentale l’incontro con Valerio Donati, pedagogista psicoterapeuta e naturopata. L’abbiamo coinvolto ed è diventato il nostro coordinatore pedagogico. In effetti, ci collochiamo all’interno dell’educazione parentale perché non esiste un’altra formula che descriva un progetto nato da una scelta genitoriale di questo tipo, ma in realtà abbiamo scelto di delegare tutta la parte didattica a un’équipe pedagogica, che sceglie cosa insegnare ai bambini e in che modo farlo. Abbiamo messo in piedi un regolamento e un patto educativo per far sì che CampoVolo abbia sempre di più una sua identità, a prescindere da chi vi entra. Spesso i genitori arriva- no portando la loro idea di scuola, di quello che vorrebbero fosse fatto durante l’attività educativa. Noi abbiamo scelto invece di affidare questo compito agli educatori, proprio per evitare ciò che spesso accade in queste realtà, ovvero che l’educazione dei ragazzi sia improvvisata. Abbiamo quattro educatori, due per la fascia dai 3 ai 5 anni e due per i bam-bini sopra i 6 anni. Per il gruppo della scuola primaria i due educatori si alternano: uno dei due si occupa della parte più teorica, l’altro del lato più esperienziale. L’approccio didattico prevede che l’educatore spieghi ai bambini come se raccontasse loro una favola, anche quando sta insegnando aritmetica. Il programma non è frastagliato, come spesso avviene nella scuola tradizionale, ma si basa su una visione globale che favorisce le connessioni tra gli argomenti.
Voi genitori, invece, aiutate in qualche modo?
Sì, certo, siamo le braccia e le gambe, perché c’è moltissimo da fare. Abbiamo appena cambiato sede e quindi noi genitori ci siamo occupati di sistemare, imbiancare e rendere accogliente la nuova struttura, seppur sempre su indicazione degli educatori. Ci dobbiamo adattare alle risorse economiche, ma il principio che seguiamo è far in modo di rendere il luogo funzionale alla didattica. Sono quindi gli educatori che decidono come gestire lo spazio. In molti altri casi invece i genitori si occupano di tutto e a volte il problema che si verifica è proprio relativo a una loro presenza eccessiva. Molti genitori, ognuno con istanze diverse e bisogni specifici per i propri figli, possono arrivare a scontrarsi, generando tensioni che poi non fanno bene ai bambini.
Che rapporto avete con la scuola tradizionale? Avete una scuola di riferimento sul territorio?
Sì, ne abbiamo una e finora abbiamo sempre scelto di sottoporre i bambini agli esami annuali (con lanuova normativa, ora gli esami annuali sono diventati obbligatori). Non sempre chi esamina i bambini è in linea con l’aproccio diverso di una scuola parentale; basti pensare alle domande a risposta multipla o allo stesso libro di testo, tutti strumenti che i nostri bambini non utilizzano. In queste occasioni i bambini hanno delle difficoltà, perché le insegnanti spesso non riescono a cambiare paradigma.
Le nuove famiglie devono avere qualche requisito specifico per poter entrare nel progetto?
Non ci sono requisiti, il consiglio che viene dato però è di riflettere bene prima di fare una scelta perché spesso, arrivando con grande esasperazione da un’esperienza negativa nella scuola tradizionale, le famiglie si scontrano con una realtà che comunque ha le sue regole e una sua filosofia. Adesso, dopo un po’ di esperienza, cerchiamo di essere molto chiari fin da subito.