Nell’anno del centenario di Paulo Freire, che ricorre il 21 settembre 2021, ripercorriamo la sua pedagogia, che fu anche causa sociale e battaglia politica.
È utile ripercorrerla per l’importanza che il pensiero freireriano ha ancora oggi e per l’attualità del suo approccio ideato in principio per far fronte a una scolarizzazione efficace degli adulti provenienti dai ceti popolari e trasformatosi poi in proposta pedagogica più ampia. “Paulo Freire è noto per la sua opera la “Pedagogia degli oppressi” e per il suo metodo innovativo di alfabetizzazione, in realtà la sua proposta è molto più ampia e si basa su alcuni pilastri fondamentali” spiega Silvia Manfredi, Presidente dell’Istituto Paulo Freire Italia. “Il primo pilastro riguarda il fatto di concepire l’educazione come un momento di trasformazione sociale: nella pedagogia di Freire non si parla mai di formazione personale ma di emancipazione delle persone che sono inserite in un contesto, in una comunità, in un territorio, nel mondo. La pedagogia freireriana non è mai incentrata sulla persona come singolo, ma sullo sviluppo dell’insieme dei singoli come comunità”.
L’aspetto collettivo dell’approccio di Freire è di primaria importanza e affonda le sue radici nell’esperienza che lui stesso fece quando nel 1946 iniziò a insegnare portoghese ai lavoratori del Servizio Nazionale dell’Industria e si rese conto che tutto quello che aveva studiato era totalmente inapplicabile nella sua relazione con le persone all’interno di quel contesto istituzionale. Il suo pensiero si rivolse quindi non soltanto alla critica del sistema educativo, che concorreva al mantenimento di una società statica e oppressiva, ma soprattutto alla formulazione di una pedagogia che contribuisse alle trasformazioni sociali.
“Secondo Freire la persona cresce e si evolve non solo per acquisire nuove competenze e imparare cose nuove, ma anche per svolgere un ruolo attivo a livello politico e sociale nel contesto in cui vive. Secondo questa teoria, sin da da bambini iniziamo a plasmare il nostro ruolo di cittadini attivi, critici che potranno un indomani contribuire a trovare soluzioni diverse e creative nella comunità in cui si è immersi. E’ per questo che nel suo approccio pedagogico il dialogo strutturato e la riflessione sui processi che riguardano la realtà sono elementi essenziali” spiega Silvia Manfredi.
Il dialogo, secondo Freire, è parte integrante della natura umana: gli esseri umani sono esseri comunicativi per definizione e si costruiscono attraverso il dialogo. “Per Freire non può esserci progresso umano senza dialogo, il momento del dialogo è quello in cui gli uomini si ritrovano per modificare e cambiare la realtà e quindi progredire” aggiunge Manfredi.
Educare significa quindi attivare nell’individuo il desiderio e l’impegno di agire per trasformare, modificare ed innovare dal punto di vista culturale e sociale l’ambiente che ci circonda.
In questo tipo di pedagogia, fortemente incentrata sulla collettività, a saltare è prima di tutto lo stereotipo dicotomico che pone su un piano l’educando e sull’altro l’educatore. “La proposta e il metodo di Freire coinvolgono tutti i soggetti, non solo gli educandi ma anche gli educatori, i cittadini, gli amministratori e i tecnici perché l’obiettivo non è appunto la mera acquisizione di competenze, ma la ricerca e la risoluzione dei problemi che affliggono un gruppo, una comunità. Il suo era ed è un metodo critico per conoscere e affrontare le situazioni ed agire nel mondo”.
L’atto di problematizzare, fare domande, chiedersi, interrogarsi rispetto a una situazione implica numerosi passaggi come ci spiega Silvia Manfredi. “Pensando a situazioni educative concrete, applicabili anche in questo periodo, il metodo di Freire implica che vengano proposte tematiche significative e interessanti tanto da essere analizzate, approfondite e, appunto, conosciute; da qui bisogna poi sviluppare insieme una strategia condivisa per avviare, sempre insieme, l’analisi della situazione e della tematica che si vuole affrontare. Partire dal presente è essenziale per ripensare il domani e guardare il futuro in una prospettiva di emancipazione e trasformazione socio-culturale. Il passaggio successivo implica la costruzione di circoli di incontro e dialogo – Freire li chiamava circoli culturali – per discutere, progettare decidere le azioni da fare insieme. Questi circoli rappresentano uno spazio di dibattito e consentono di sviluppare una rete di relazioni ed interazioni sociali. Il gruppo, inteso come spazio collettivo, favorisce la democratizzazione della parola, del sapere e fornisce la struttura base per lo sviluppo del lavoro intellettuale come produzione collettiva”.
Freire fu anche inventore di alcune parole e concetti innovativi che Silvia Manfredi spiega così: “La parola “curriculum”, nel lessico di Freire, significa e comprende l’ascolto, la ricerca e l’analisi della realtà da parte dei soggetti coinvolti che mappano i problemi per poi trovare i “temi generatori” che sono, in pratica, i temi di interesse, le questioni attuali, le sfide non solo personali ma epocali, quelle sfide che se affrontate a livello di collettività permettono di generare qualcosa di nuovo di più giusto. I temi generatori sono quei temi e quegli argomenti che ti consentono di avviare un lavoro educativo interculturale e multidisciplinare. Di recente, quando tanti giovani sono rimasti a casa, per esempio, abbiamo condotto un’indagine su un gruppo di studenti e attraverso il dialogo e il dibattito con loro abbiamo sviscerato il tema delle lezioni a distanza scoprendo stati diffusi di solitudine, difficoltà di rapporto intergenerazionale a casa, senso di intrusione nella propria vita privata per questi continui collegamenti online”.
Se da un lato l’approccio di Freire implica una forte partecipazione collettiva in una prospettiva politica di giustizia sociale volta al bene comune, come spiega Manfredi, questo non significa che non ci sia un ordine nel procedere. “Non è assolutamente una visione in cui tutti fanno tutto – dice – In un gruppo di studenti, ad esempio, se è vero che ciascuno è portatore di conoscenza, di cultura e di una visione del mondo, è poi l’insegnante che conduce il gruppo, che pone la linea e gli obiettivi comuni ed è lui il responsabile della strategia educativa”.
L’approccio di Paulo Freire resta attuale e oggi continua a essere diffuso grazie all’impegno degli istituti Paulo Freire presenti nel mondo; non mancano tuttavia le criticità per la sua piena messa in pratica, come spiega Manfredi: “Il metodo di Freire ha il grande vantaggio di poter essere applicato a contesti differenti perché l’educazione proposta parte sempre e fa leva su ciò che suscita interesse e partecipazione da parte di chi è coinvolto nel processo. Oggi, dal mio punto di vista, si riesce ad applicare con facilità e con ottimi risultati in progetti socio-educativi mirati, resta invece più complicato adattarlo al rigido e burocratico sistema scolastico tradizionale. La partecipazione resta poi una condizione essenziale del suo approccio: questa fase che ci vede sempre online e a distanza mal si concilia con un metodo che pone al centro il dialogo, lo scambio, il contatto, la relazione e i circoli di cultura dove i gesti, le espressioni e la mimica sono, insieme alle parole, parte integrante della comunicazione”.
Per approfondire
di Marta Valota