Salute e istruzione: qui si concentrano alcuni degli ultimi provvedimentidel governo, molto criticati. Vi proponiamo l’intervento di Paolo Mottana.
Docente di filosofia dell’educazione all’Università Milano Bicocca e impegnati da anni in quella che definisce un’opera di “controeducazione”, Paolo Mottana è un dei fondatori del progetto “Tutta un’altra scuola” e autore del libro “La città educante”. Sulle decisioni recenti del governo interviene con parole lucide, chiare e di grande efficacia, che vi proponiamo.
«La decadenza di una democrazia (oppure la sua immaturità costitutiva), si vede da come integra la differenza. Il problema di ogni democrazia è l’equilibrio tra omologazione e differenziazione. In particolare la sua tolleranza, in senso fisico, la sua “capacità” di accogliere le singolarità. In altri termini parliamo della questione dell’”ospitalità”, non solo nel senso banale di ricevere e fornire asilo allo straniero ma, più radicalmente, di offrire agio alla differenza, fino ad arrivare a sporgersi verso di essa, di interrogarsi a partire da essa, di allargare e modificare il proprio nucleo identitario a contatto e, talora, collisione, con essa[1].
Le ultime decisioni politiche in materia di scuole alternative e di vaccini sembrano evidenziare una difficoltà del nostro paese, nella forma della sua democrazia. A differenza di nazioni come quelle del Nord Europa, con democrazie più solide e più aperte, il nostro paese, per motivi in parte storici, in parte ideologici e in parte appunto di debolezza costitutiva, fatica a confrontarsi con le minoranze e con le singolarità. Al tempo stesso assume decisioni paternalistiche e totalitarie che semplificano apparentemente i problemi ma ledono pesantemente l’autonomia personale, la libertà di scelta e una fiducia politica che non è mai stata così scarsa.
Obbligare indiscriminatamente alla vaccinazione per poter accedere alle scuole e, al contempo, obbligare a effettuare esami ogni anno chi ha scelto di non mandare i suoi figli a scuola, la scuola statale, sono due provvedimenti che si tengono nel voler esercitare una pressione violenta su scelte alternative in materia di educazione e di salute. Cioè due dei pilastri fondamentali delle democrazie moderne.
Ivan Illich[2], molti anni fa, ci aveva ben avvisato sulla espropriazione della nostra libertà di cura, sulla cultura stessa della cura e dell’autocura diffuse nei territori e nelle loro comunità, al contempo ci aveva posto in allarme sul ruolo violento che l’educazione scolastica obbligatoria veniva assumendo nelle nostre democrazie. Un ruolo di separazione dell’esperienza educativa, confinata in strutture specializzate, gerarchica e a sua volta schizogena nelle sue configurazioni interne (saperi, ruoli, procedure).
Molti autori nel tempo hanno sollevato il problema di una privatizzazione prima e statalizzazione della formazione umana (da Rudolf Steiner a Alexander Neill e recentemente a Peter Gray o Ken Robinson), mostrando le limitazioni, le scissioni e l’impoverimento radicale che questo comporta, specie per i diritti dei minori e delle loro famiglia, per non parlare delle ricadute sul contesto di generazioni allevate all’obbedienza, alla sudditanza e alla disciplina del corpo e delle emozioni[3].
Questo processo, di privatizzazione (cioè di sottrazione dei minori alla vita sociale e di assoggettamento all’esclusività del rapporto famigliare e poi della scuola) e di statalizzazione (sussunzione dei percorsi di formazione in un modello unico, così come l’assorbimento di ogni cura sanitaria in strutture e figure specializzate), si è compiuto. Non senza qualche margine di eccezione e di accoglimento di esperienze diverse, talora anche nel corpo delle stesse istituzioni statali (specie negli anni 70), sia nel campo della formazione e della cura, con sperimentazioni, nascita, su pressioni di base, di servizi nuovi e di elaborazione di necessità fino ad un certo momento neppure rese visibili nella loro particolarità (disabili, malati psichici ecc.)
Ora, in un rigurgito di inquietante totalitarismo, assistiamo a un progressivo ridursi della disponibilità alla diversità, a un restringimento delle risorse e, infine, all’emanazione di provvedimenti che ledono profondamente l’articolazione per differenze e singolarità di una popolazione altamente complessa e sempre più multiculturale che ovviamente esigerebbe esattamente un trattamento opposto.
La preoccupazione esagerata per specifiche porzioni della popolazione (il terrore di un’educazione “islamica” al di fuori del controllo statale, curioso però che scuole ebraiche o di altre religioni siano tollerate da molto tempo) che vadano in direzione ostinatamente diversa da quella maggioritaria (homeschooler, scuole parentali, libertarie ecc.) segnala quanto debole evidentemente si deve percepire un sistema di potere che, ogni giorno, sforna nuove misure di controllo, di osservazione sociale, di vera e propria ispezione e valutazione di tutto.
Non ci deve stupire questo, si tratta di un colpo di coda di regimi che non hanno in alcun modo tenuto fede alle idee cruciali della democrazia e che, dopo aver sferrato infiniti colpi ai diritti dei lavoratori, dei più deboli e aver al contempo agglutinato in una miscela collosa e inestricabile i centri di potere da sempre garantiti da omertà, corruzione e miseria culturale, cercano di inseguire e tappare le ultime falle di un’imbarcazione che tuttavia aspetta solo ormai di colare a picco.
Ricordiamo che nel nostro paese, a differenza di altri, e penso soprattutto alle democrazie del nord-europa, molti diritti essenziali, laici e sacrosanti, sono ancora inesistenti. Da una legislazione che finalmente si dimostri autenticamente ospitale verso ogni forma di differenza sessuale, al tema di una morte che possa essere decisa dagli individui secondo le loro volontà imprescindibili, a una legislazione sugli stupefacenti che impedisca gli affari dei narcotrafficanti, a un numero di altri temi “sensibili” su cui evidentemente una cultura bloccata, inibita e impotente, anche per ragioni di compromissione religiosa, non riesce a dare risposte sensate, viviamo sotto la pressione di divieti sempre più intollerabili.
Occorre dire basta a tutto questo, rivendicare il diritto a essere tutti considerati soggetti di diritto, non solo chi è nato nel paese, ma chiunque vi abiti e componga il tessuto sociale, poiché l’individuo è una singolarità e non una x, e deve poter decidere, specie in materie delicate come la salute, la propria formazione e la propria vita, autonomamente, salvo ovviamente casi di accertata incapacità.
Noi tutti ma specialmente le giovani generazioni, meritiamo di essere considerati come soggetti a pieno titolo, con diritti e doveri, opportunità e vincoli, vogliamo essere “ospitati” nella nostra irriducibile differenza e non trattati come un gregge di pecore cui deve essere imposta una ricetta unica e ahimé spesso pericolosa o insoddisfacente per le nostre vite».
[1] Cfr. René Schérer, Zeus Hospitalier, La Table Ronde, Paris 1993
[2] Cfr. Ivan Illich, Descolarizzare la società, trad.it. Mimesis, Milano 2010 ; Ivan Illich, Nemesi medica. L’espropriazione della salute, trad.it. Boroli, Milano, 2005
[3] Cfr. Paolo Mottana, Piccolo manuale d controeducazione, Mimesis, Milano 2012; Paolo Mottana, La gaia educazione, Mimesis, Milano, 2016; Paolo Mottana, Giuseppe Campagnoli, La città educante. Manifesto dell’educazione diffusa, Asterios, Trieste, 2017