«Non solo il cambiamento delle scuole è possibile, ma lo è in breve tempo»: così Ludovico Arte, preside del Marco Polo di Firenze.
Abbiamo già avuto modo di conoscere Ludovico Arte, lo abbiamo intervistato nel 2017 quando aveva già introdotto parecchi cambiamenti nell’istituto superiore che dirige, l’istituto tecnico per il turismo Marco Polo, e quando aveva inaugurato il primo murales che iniziava a cambiare il volto della scuola anche all’esterno.
Oggi fa il punto di un lavoro determinato, concreto, inarrestabile di “rivoluzione culturale e materiale” all’interno di una scuola che è passata dal rischio chiusura a una lista d’attesa lunghissima per meriti tutti guadagnati sul campo.
Un’esperienza che ha visto anche la realizzazione di un documentario dal titolo chiarissimo, “Marco Polo”, che racconta, con linearità e sincerità la vita all’interno della scuola.
«Sì, ce l’ho e ce l’abbiamo fatta – spiega Arte – abbiamo realizzato una scuola accogliente, l’ampliamento dell’offerta formativa con l’arricchimento sia della didattica curriculare che di quella extracurriculare; sono proseguiti l’impegno nell’innovazione tecnologica e il lavoro sugli spazi. E a chi continua a pensare che sia impossibile o un miracolo dico: non è così».
L’identità
«Continuo a pensare che le scuole statali, e in particolare la scuola superiore, abbiano un grosso problema di identità – prosegue Arte – Le persone le distinguono per indirizzo di studi ma non per il modello di scuola che ogni realtà può mettere in campo. In molti istituti non si riflette nemmeno su quale idea di scuola ed educazione si voglia portare avanti. Noi ci abbiamo provato e ha funzionato, ci siamo confrontati sul senso di quello che stavamo facendo e continuiamo a farlo ora, abbiamo fatto delle scelte».
«Sono partito con scelta di non fare entrare i cani antidroga nella scuola e sono arrivato a posizioni ancora più forti sul tema dell’accoglienza. Negli ultimi 2 anni abbiamo avuto un boom di iscritti e siamo ricorsi al sorteggio, ma abbiamo scelto di non escludere mai i ragazzi con disabilità».
L’apertura
«Abbiamo poi aperto una sezione della scuola Penny Wirton, la seconda in Italia in un istituto pubblico e la prima di Firenze: segnale forte, uno spazio in cui adulti e ragazzi italiani e stranieri stanno insieme per condividere e scambiarsi saperi ed esperienze. Altra cosa: la diffusione di documento sottoscritto da tutta la scuola contro il decreto sicurezza di Salvini. Questa è la scuola di tutti, tanto che in occasione delle scorse elezioni avevo deciso di invitare rappresentanti di tutte le liste che si presentavano a parlare a scuola con i ragazzi, senza escludere nessuno, da Casa Pound a Potere al Popolo. Ma non è stato possibile realizzare questo intento completamente perché la scelta di includere anche Casa Pound è stata fortissimamente contestata dalla sinistra, che ha sostenuto che “con i fascisti non si parla” e ha boicottato l’iniziativa costringendoci ad annullare gli incontri. Ma come si fa a tacciare di “destrismo” una scuola che mette Gramsci sulla facciata, che apre agli immigrati e che fa una scelta di salute democratica volendo confrontarsi con tutti? Evidentemente questa apertura alla libertà non piace, è scomoda».
«Penso che anche di fronte alle cose che i ragazzi dicono e che non ci piacciono, noi abbiamo il compito non di reprimere e sanzionare ma di fare educazione, confrontandoci con tutti».
La bellezza degli spazi
Arte ha curato molto anche gli arredi, l’abbellimento degli spazi interni ed esterni per sottolineare il tema dell’accoglienza che parte anche dalla bellezza del luogo che accoglie. «Abbiamo proseguito con la decorazione esterna con i murales e abbiamo decorato anche gli spazi interni, dai bagni alle aule polivalenti. Sembra banale, ma non lo è affatto, ha un grande valore».
L’offerta formativa
È stata ampliata l’offerta formativa con la proposta di laboratori, scambi con l’estero e viaggi. «Abbiamo introdotto, prima scuola a Firenze, il cinese curriculare. Il nostro è un indirizzo linguistico, già da qualche anno proponiamo russo e cinese il pomeriggio, arriveremo anche con arabo e giapponese. Sono aperture verso altri mondi, operazioni culturali ma anche prospettive lavorative in questa città turistica e in altre».
Il documentario
«A un certo punto mi è venuta in mente l’idea di un documentario – prosegue Arte – Le scuole sono spesso mondi chiusi, a partire dalle aule dove si chiude la porta e non si sa cosa accade. Le scuole non amano che i giornalisti entrino, mettono mille barriere per scoraggiare chiunque, prestando il fianco a pregiudizi e stereotipi. Quindi abbiamo voluto far vedere cosa succede veramente nella scuola di oggi, ho pensato che fosse importante rompere le barriere e raccontare. Ma come? Di film sulla scuola ce ne sono tanti. Noi abbiamo deciso di raccontato nel modo più puro possibile ciò che accade cercando di cogliere anima di una scuola universale. Dopo una serie di colloqui, ho scelto un giovane regista fiorentino, Duccio Chiarini. Ho spiegato ai docenti che non era invadenza, non era intrusione, bensì un racconto che provava a restituire all’esterno la fatica, la passione e le contraddizioni del nostro lavoro. Per un po’ di tempo Duccio è entrato a scuola senza telecamere, ha frequentato insegnanti e ragazzi, è entrato in relazione con loro; poi ha acceso la telecamera. Entrava in classe, seguiva lezioni, incontri pomeridiani, riunioni tra docenti, le attività varie. Di ottanta ore di girato è uscito un documentario di 1 ora e 20 minuti. Ci apriamo così ad altri mondi, a sguardi più stimolanti, ci liberiamo dall’autoreferenzialità e i ragazzi apprezzano».
La didattica
«Sia chiaro che non si è mai perso di vista il quotidiano, la didattica – aggiunge Arte – ho scelto di favorire, anche economicamente, tutti gli insegnanti che fanno sperimentazione li favorisco. Ci sono incontri con esperti, gare di retorica, attività di carattere psicologico e tanto altro. Abbiamo regalato a tutti gli studenti e al personale scolastico le borracce per eliminare la plastica, abbiamo messo a disposizione gli armadietti per tutti gli studenti e sono 1600. Sono piccoli segni di attenzione. Abbiamo installato gli arredi in giardino e negli spazi all’aperto si può fare lezione».
«I soldi ci sono»
«La domanda/obiezione è ricorrente: ma dove li prendete i soldi per fare tutto questo? I soldi ci sono, le risorse sono uguali per tutti, a seconda dell’ordine e grado di scuola, e le leggi sono le stesse per tutti. Smettiamola di dire che le cose non si possono fare. Sono entrato in questa scuola otto anni fa, stava andando a fondo, perdeva iscritti, era a un passo dall’accorpamento e aveva una pessima immagine all’esterno. Mi ha colpito trovare un sacco di soldi non spesi e mi sono domandato come fosse possibile? Per spendere i soldi occorre sapere come farlo, avere progetti, idee e alcune scuole non li hanno perché pensano solo alla gestione delle mille emergenze e alla burocrazia. Non sanno cosa fare, quando va bene comprano qualche computer. Poi spendere i soldi costa fatica. Io devo fare incontri, discussioni, chiedere la redazione di progetti e preventivi, la segreteria deve fare il bando, che è a rischio ricorsi e contestazioni; insomma c’è un grande lavoro dietro. E siccome ci pagano uguale sia che facciamo le cose sia che non le facciamo, la maggioranza dice: ma a me chi me lo fa fare? Si alza quindi un muro di gomma e si scoraggia qualunque iniziativa. Vi faccio un esempio concreto: ogni scuola superiore chiede un contributo alle famiglie di 100-150 euro in media. Nella mia scuola pagano i tre quarti delle famiglie, e così più o meno dappertutto. Consideriamo una cifra media di 120-130 euro e circa mille paganti: vuol dire che la scuola superiore solo da famiglie riceve almeno centomila euro. Se una scuola li sa spendere, cambia il volto della scuola stessa. Poi ci sono finanziamenti dallo Stato e dagli enti locali ai quali si accede partecipando ai bandi. Insomma, le risorse ci sono. Quindi usiamole e passiamo all’azione! Qui ha funzionato».