Sul tema dell’educazione all’aperto riportiamo l’intervento di Cinzio Cucco, membro della Rete Educazione all’Aperto di Palermo.
«Sono sempre più diffuse, in Italia e nel resto del mondo, le scuole in natura, che si ispirano ai principi dell’outdoor education e comprendono realtà come asili e scuole nel bosco e al mare, agrinidi ecc.
Uno delle componenti di queste realtà è la costruzione graduale di nuovi paradigmi (modelli) che non solo abbiano una valenza pedagogica ma anche sociale. Il tema ricorrente è la comunità educante.
Di che si tratta? Cosa comporta farne parte?
L’individuo che vi appartiene non possiede solo il sapere ma anche il luogo in cui opera (poco importa se esso è il mondo tutto in una logica itinerante), la propria gente, il lavoro svolto con gli altri. Insomma in questo nuovo (ma a ben rifletterci antico) paradigma educativo, si trasmette il perduto senso di appartenenza. Io appartengo alla mia famiglia ed essa mi appartiene, ma anche la scuola fa parte di me e io ne faccio parte, le relazioni sono sempre reciproche, in uno scambio continuo. Va da sé che l’educazione civica e ambientale diventano consequenziali a questa weltanschauung (visione del mondo). L’ambiente naturale mi appartiene e anche le regole di convivenza. Tuttavia queste ultime assurgono a un significato più profondo: io sto in un gruppo, dunque devo collaborare. L’individuo trova un suo posto e ritiene naturale svolgere un compito per quanto impegnativo. Una tale concezione diventa basilare in un intervento educativo globale, olistico, dove l’impegno è di tutti e questo il bambino lo sente.
La demotivazione tipica dei nostri giorni viene a cadere perché il fine ultimo di ogni nostro atto non sono i voti scolastici né il successo nella società né la realizzazione lavorativa. Tutte queste componenti ritrovano il loro senso solo se ci si rende conto che il mondo è cambiato. Non si studia per il posto fisso, non si può nemmeno individuare a priori quale sarà il mercato del lavoro futuro né come si declineranno le concezioni di prestigio, potere, successo.
Il bambino, ma anche l’adolescente, deve avere chiaro che fa parte di una comunità, che egli è in prima persona responsabile persino di delicati equilibri mondiali (se spreco acqua cosa succede?) e che il suo impegno sarà cangiante in un mondo cangiante. Il mondo è diverso, occorre dunque cambiare prospettiva. Per quanto riguarda gli adulti essi sono responsabili di tutto questo: la trasmissione non del sapere ma della certezza, l’unica possibile, che i più piccoli possano fare parte di una comunità su cui fare affidamento. Un cambio così radicale di paradigma è ipotizzabile solo laddove ci si renda conto che l’aula è la vita stessa.
Ogni volta che leggiamo un testo dobbiamo sempre soffermarci a riflettere su quali siano le implicazioni nella vita. La storia per esempio ci fa capire quali siano le strategie adottate nel corso dei millenni per la sopravvivenza, ci fa capire a che punto siamo arrivati e come, quali siano stati gli errori clamorosi e quali le ragioni di essi. L’apprendimento non è più sterile se l’ottica in cui esso viene attuato diventa questa. Come suggerisce la parola stessa l’alunno prende il sapere e lo trasforma in conoscenza. Quest’ultima diventa l’unica vera proprietà e il più grande potere che si possa avere. Se io sono in grado di adattarmi ai cambiamenti, se sono in possesso di adeguati strumenti di analisi della realtà, allora non solo sono in grado di sopravvivere ma posso anche farlo con lungimiranza e con una visione globale della realtà che mi circonda. Certo mi rendo conto che persone in grado di avere autonomia gestionale possano fare paura a chi detiene il potere ma essi dovranno gestire un mondo sempre più digitalizzato e robotizzato e non credo che basti l’utilizza meccanicistico di una tecnologia che muta continuamente. Dobbiamo gestire il cambiamento e questa sfida non può essere raccolta da persone in grado di essere meri fruitori, operatori, anche perché molto presto… gli operatori saranno i robot (in alcuni casi già lo sono).
Le scuole all’aperto, in natura formano persone consapevoli, in grado di prendere in mano la propria vita e di gestirla secondo il proprio talento. Tutto ciò non può, come dice Paolo Mai, responsabile dei progetti “Asilo nel Bosco” e “Piccola Polis” di Ostia Antica, non passare per il concetto di “Noi” con l’auspicio che soppianti un individualismo che ci rende tutti soli e sterilmente contrapposti gli uni agli altri».